Com’è nata l’idea del film?
Tutto è iniziato da una scena a cui ho assistito al Lido di Bolzano, quattro anni fa, e che ha ispirato parte del film. La storia si svolge in un’unica location, il Lido, e racconta 13 minuti della vita di due giovani genitori e della figlia di sette anni, Lena, sconvolta da un incidente che getta anche la piscina pubblica nel caos più totale. Bordovasca è un incubo sotto il sole; in una giornata qualunque di un’estate come tante, dove il tempo scorre in modo placido, improvvisamente tutto si ribalta. Ne ho scritto in primis un breve racconto e nel 2019, partecipando a un workshop di IDM con il produttore Massimiliano Gianotti di Cooperativa 19, ho recuperato il soggetto e lavorato alla sceneggiatura. La Sayonara Film si è interessata al progetto, lo ha co-prodotto e ora lo distribuirà nei circuiti nazionali e internazionali.
Perché ha scelto il formato del cortometraggio per raccontare questa storia?
Credo molto nel cortometraggio come forma espressiva, ed è anche un biglietto da visita per il salto successivo: dimostrare di essere all’altezza di dirigere un lungometraggio. Attraverso il corto ho l’occasione di mettermi alla prova con il cinema breve ma anche di farmi conoscere nell’industria e costruire una credibilità artistica.
Che valore aggiunto ha avuto Bolzano come location per il corto?
Sono affascinato da questa città in cui vivo da ormai otto anni e che non ho visto raccontare spesso al cinema, né nelle sue storie personali né nelle sue architetture. Per Bordovasca la struttura del Lido è stata il punto di partenza. Mi piaceva l’idea di ambientare il film in un luogo così imponente, che arriva a ospitare fino a 15mila persone in alta stagione, un posto in cui la città – una comunità in costume da bagno, per così dire – si riversa in estate. Mi sembrava il contesto più giusto per raccontare questa storia, partendo con uno sguardo generalista sul mondo circostante, quasi come a cercare nella folla la protagonista. Mi piacevano le montagne che avvolgono la piscina e chiudono l’orizzonte, i contrasti di colore. Il film si muove su due livelli: da una parte la fatalità degli eventi, la sfortuna che cala in un’arena in cui siamo tutti indistinguibili; e sul piano più microscopico la causalità, la reazione, perfino esagerata, della bambina al sopruso che subisce, la ribellione, la rivendicazione del figlio sul genitore che gli impone qualcosa. Creare una crepa in un ambiente apparentemente perfetto e intoccabile rendeva la grammatica delle immagini ancora più forte, ed è questo il risultato che cercavo.